Manx GP e Paralimpiadi: intervista a Roberto Airoldi

Cosa hanno in comune il Manx Grand Prix dell’Isola di Man con le Paralimpiadi 2016 di Rio de Janeiro? Un personaggio straordinario: Roberto Airoldi.

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Roberto Airoldi durante il pit stop in gara al Manx GP 2007 (foto: Roberto Airoldi FB)

Roberto nasce nel 1976 in provincia di Novara e all’età di 15 anni è vittima di un brutto incidente in moto con conseguente amputazione della gamba destra. Un incubo che cambia la vita, soprattutto nella piena adolescenza. Roberto tuttavia non si lascia sconfiggere da questa pesante menomazione e dà il meglio di sé per condurre un’esistenza normale. Ma la sua si rivelerà invece un’esistenza straordinaria.

Prima il Campionato Italiano Velocità in Salita, poi l’Europeo Supermono, poi il coronamento di un sogno con la partecipazione al Manx Grand Prix. Con il suo Kawasaki 400cc del ’91 Roberto Airoldi centra un 4° posto al Manx GP 2007 nella categoria Newcomers C, vinta dall’attuale pilota TT Olie Linsdell.

In seguito un altro sogno, quello di una passione parallela, il tiro con l’arco, che da passatempo invernale si trasforma in un impegno regionale, poi nazionale e infine mondiale: ad agosto 2016 Roberto partecipa alle Paralimpiadi di Rio, in Brasile, subito dopo le Olimpiadi, vincendo la medaglia di bronzo nella disciplina del Tiro con l’Arco.

Un vero onore chiacchierare con lui, che con la sua forza di volontà dimostra che la vera disabilità è solo nella nostra testa…

 

Roberto, parliamo di quel Manx GP 2007. E’ stato difficile farsi accettare l’iscrizione?

No, gli organizzatori erano molto disponibili e le tempistiche di risposta molto rapide. Come oggi, chiedevano comunque un determinato curriculum e io al tempo facevo parecchie gare in Europa nella categoria Supermono; veniva richiesto un certo numero di gare a traguardo nell’anno precedente. Ho mandato l’iscrizione e i risultati ottenuti e mi hanno accettato di buon grado. Quell’anno eravamo tre italiani: nel paddock ho conosciuto Simona Zaccardi e Danny Garbin, due persone spettacolari, siamo tuttora amici. C’era anche Stefano Bonetti che faceva da meccanico alla sua morosa del tempo, Simona.

 

Cosa hai provato durante il tuo primo giro sul Mountain Course?

Per gli appassionati di corse su strada l’isola di Man è un sogno, un’icona. E il primo giro, fatto dietro ad un marshal in gruppo, è stato bellissimo, soprattutto le prime 2-3 miglia. Sono partito un po’ sbalordito, giù per Bray Hill, poi Quarterbridge, Braddan. Il marshal aveva un Kawa 1000 e tirava, io avevo il Kawa 400. Durante quel primo giro ridevo nel casco come un deficiente, è stata l’emozione più forte e bella della mia vita, con adrenalina a mille. Poco prima di Kirk Michael ho iniziato a realizzare veramente ciò che stavo facendo e mi scendevano lacrime di gioia dentro al casco. Ancora adesso a raccontarlo mi viene la pelle d’oca.

 

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Roberto con Simona Zaccardi e Danny Garbin (foto: Simona Zaccardi FB)

Hai incontrato delle particolari difficoltà nelle due settimane al Manx?

Normali difficoltà di gara, non relative alla mia condizione. Ad esempio, una volta piovigginava sul Mountain e la moto scivolava molto. Presi un bel rischio sulla riga di mezzeria prima di Creg-ny-Baa, per fortuna risolto solo con una piccola sbandata. Poi mi infastidiva molto il tratto da Ginger Hall a Ramsey, dove l’asfalto è molto bucato; è un tremolio continuo, ricordo che Fogarty disse che gli si offuscava la vista in quel punto! Ma la cosa più brutta forse era non conoscere veramente il tracciato: molti punti li conoscevo a settori, magari mi ricordavo due curve ma tra quelle ce n’erano altre due minori che non ricordavo, e così facendo si perde il ritmo. Inoltre e’ una gara molto fisica, un continuo muoversi e spingere sulla moto in maniera energica; una volta sceso dalla moto dopo la gara, facevo fatica a stare in piedi. Pensavo fosse più una gara “da carena” e invece è una lotta continua senza sosta!

 

Conoscevi già il tracciato? Come ti sei preparato?

Ho guardato per anni i VHS del TT e finalmente nel ’99 sono stato all’isola di Man in vacanza con amici, con furgone e moto. Io avevo portato la mia Cagiva Mito e con quella feci tanti giri del tracciato nella settimana di prove e di gare, quando riaprivano le strade. Conoscevo il tracciato dai video, ma quando arrivi lì è ben diverso, me lo immaginavo più largo e con asfalto più bello. Inoltre le strisce segnaletiche erano molto scivolose, soprattutto nella parte di montagna.

 

Come era modificata la tua moto per far fronte alla tua disabilità?

Io ho iniziato a correre da amputato, avendo avuto l’incidente a 15 anni. Sono appassionato di moto da sempre e il mio desiderio era quello di correre, perciò mi sono informato su come poter fare anche senza la gamba e ho preso la licenza. Per quanto riguarda le modifiche, per tutte le mie moto ho copiato il freno posteriore di Mick Doohan che aveva poca mobilità alla caviglia destra, quindi aveva il freno a manubrio, il cosiddetto freno a pollice. Ho quindi copiato quello Brembo fatto per Doohan e ne ho costruito uno io, dato che prima facevo il meccanico e ho anche fatto una scuola per macchine utensili.

 

Quindi durante le gare sei anche meccanico di te stesso.

Sì, sono pilota, meccanico, autista e cuoco del team! A parte gli scherzi, ho sempre curato io la mia moto, dal motore, alla ciclistica, alle sospensioni. Ho però un caro amico sospensionista che ha lavorato nel motomondiale negli anni 80 e che mi ha dato una mano con un consulto telefonico durante il Manx.

 

Da quante persone era composto il tuo Team al Manx?

Eravamo io e due amici, due aiuti, non erano meccanici ma solo appassionati. Comunque aiuti fondamentali per il rifornimento, le verifiche tecniche ecc.

 

Perché non sei più tornato all’isola di Man?

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Roberto a Ballaugh Bridge, Manx GP 2007 (foto: iomguide.com)

L’anno successivo ho cercato di raccogliere i soldi e volevo tornarci nel 2009, ma non avevo ottenuto il numero di gare necessario a causa di alcuni ritiri. Poi a fine 2009 sono stato investito da un pirata della strada mentre ero fermo ad un semaforo e ho rotto tibia e perone della gamba buona, con un recupero di un anno e mezzo. Lo stesso anno è morto mio padre (mia madre se n’era già andata nel 1998), non sapevo bene cosa dovevo fare, mi sono ritrovato solo. Poi nel 2011 ho deciso di tornare al CIVS con la mia vecchia Mito, e alla prima gara feci subito podio. Nel frattempo stavo sistemando  anche il Kawasaki 400. Purtroppo poi ruppi il motore a Franciacorta e subentrarono anche problemi economici. Cambiai lavoro e nel frattempo mi appassionai al tiro con l’arco, dopo vent’anni dall’ultima volta che ci avevo provato, alle scuole medie. E’ una passione nata come divertimento invernale, dopo il lavoro, ma da lì ho iniziato con gare a livello sempre più alto con buoni risultati. Comunque, se ne avessi la possibilità all’isola di Man tornerei. E’ una voglia che ti rimane dentro per tutta la vita.

 

Due passioni completamente diverse, insomma.

Totalmente diverse! Io avevo sempre concepito lo sport come motociclismo; in moto l’adrenalina è il tuo carburante, mentre nel tiro con l’arco c’è sempre adrenalina, ma  devi usarla al contrario, per stare fermo, calmo. Nei primi periodi il mio istinto mi dava delle  difficoltà, poi mi sono adeguato e sono riuscito a togliermi qualche soddisfazione. Una delle cose più belle nella vita di uno sportivo è riuscire a partecipare ad una Olimpiade. Mi sono divertito molto! C’è anche molto impegno dietro a tutto questo, mi alleno tutti i giorni per 2-3 ore al giorno.

 

Se non ti fosse mai accaduto l’incidente, avresti comunque intrapreso particolari sfide o questo episodio ti ha dato una spinta speciale?

Bella domanda, ci ho pensato molte volte. Penso di aver fatto ciò che ho sempre sognato indipendentemente dall’incidente, senza esserne influenzato negativamente. Quando mi sono risvegliato in ospedale è stato come partire da zero, morto e rinato, ero così e basta, dovevo accettarlo e fare ciò che volevo senza pensare “posso farlo anche così”?

 

Ci sono altre sfide che vorresti intraprendere? 

Uno dei miei sogni, o meglio obiettivi, è quello di tornare a gareggiare all’Isola di Man. Sicuramente l’anno prossimo ci andrò da spettatore, sto già organizzando, perchè l’isola mi piace anche senza gare, è un posto speciale. Poi vorrei partecipare alle Olimpiadi di Tokyo 2020.

 

Te lo auguriamo con tutto il cuore Roberto!

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3 reazioni a Manx GP e Paralimpiadi: intervista a Roberto Airoldi

  1. Gabriele ha scritto:

    Bravissimo!

  2. Max ha scritto:

    Ciao Roberto sono Max Cangiano (ricordi? supermono 2005/2006)

    i piu sinceri complimenti x il bronzo!!!

    sei sempre un grande…….con o senza moto

    spero nel 2017 di vederti al civs

    a presto

    Max

  3. Mr Ballymoney ha scritto:

    Grande Robert,sono strasicuro che ti rivedremo sull’isola!

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